Adriano Vini – Una brillante stella ai confini del Barbaresco
Era qualche bell’anno che non tornavo in Langa, una delle zone che preferisco sia dal punto di vista enologico che gastronomico.
Adoro addentrarmi per i piccoli paesi langaroli, dove spesso accade di vivere quella sensazione di un tempo che si è fermato. Paesi nei quali, passeggiando, ritrovi l’ambiente di una volta, dove le grandi catene commerciali non osano arrivare e le insegne luminose quasi non esistono.
È una situazione che mi rilassa e mi trasmette una corposa dose di serenità. Quando ti affacci dai grandi terrazzi panoramici, ti puoi gustare un panorama fatto di vigneti appoggiati su comode colline, assaporando il silenzio che spesso sembra essere l’unico indiscusso padrone del territorio.
Che meraviglia.
Il mio breve viaggio in Langa è iniziato con un bellissimo saliscendi tra i vigneti. Mi piace girovagare con la macchina cercando i luoghi che più mi ricordano le meravigliose etichette incontrate nelle più svariate occasioni.
Complice una giornata a dir poco spaziale, ho macinato un bel po’ di chilometri tra le colline di Barolo e Monforte bussando ogni tanto alla porta dei produttori per acquistare qualche bottiglia di vino per uso personale. Da buon Oste, lo sai che prima assaggio personalmente quello che potrei poi proporre al mio bancone!
La mia prima tappa in programma era al di là della valle, verso Barbaresco. Avevo fissato una visita in una cantina che ho conosciuto tramite un amico e che ho poi amato grazie alla sua Barbera Superiore, sto parlando di Adriano Marco e Vittorio.
Siamo nella zona più estrema del Barbaresco, una piccola valle dove non c’è nemmeno il segnale telefonico… era da tanto tempo che non mi capitava di trovarmi in una zona così, ma devo dire che dopo qualche minuto ho subito apprezzato l’occasione di essere indisturbato, senza tecnologie, solo con la mia curiosità.
Incontro subito la mamma che mi fa visitare la cantina in attesa di Michela, la figlia più giovane ricca di energia ed entusiasmo che mi ha regalato due ore meravigliose parlando di vino e di denominazioni. Mi cade l’occhio su un cartello che indica la password per potersi connettere al wifi ma preferisco non farlo, godendomi appieno il momento analogico.
Cartina alla mano, Michela mi ha spiegato ogni dettaglio raccontandomi la storia di una famiglia che dopo poco meno di una trentina d’anni da agricoltori viticoltori ha deciso di intraprendere la strada della produzione di vino ottenendo, a mio parere, dei grandissimi risultati qualitativi.
Inizio il percorso di degustazione con l’Ardì, che significa ‘ardito’. Un Moscato d’Asti secco, per me una novità assoluta. Lo scopo e la sfida sono quelli di ottenere un vino secco perfetto per un fresco aperitivo, un nuovo vino del quale non esiste ancora una denominazione ma nel quale questa piccola azienda, assieme ad un’altra manciata di produttori, crede molto.
Una sfida nata qualche anno fa nel momento in cui la Docg Moscato d’Asti aveva vissuto un periodo di forte crisi, subendo un importante crollo delle vendite. È stato dunque un reinventarsi, creando un nuovo vestito per un vino che è parte integrante della storia locale. E il risultato direi che è stato perfettamente raggiunto!
Interessantissimo il “Basarico”, un Sauvignon con caratteristiche diverse da quello prodotto nelle nostre fresche vallate. Un vino i cui profumi ricordano più la salvia, le erbe spontanee e aromatiche. All’assaggio è delicato, elegante, fresco e persistente. Michela mi ha raccontato che ha recentemente stappato delle vecchie annate rimanendo sorpresa dalla perfetta evoluzione del vino, lasciando basiti anche gli ospiti che aveva a tavola. Merito ovviamente del prezioso territorio e del clima che permettono di ottenere vini longevi.
Bello e fresco il Dolcetto, un vino che ricorda le migliori versioni della denominazione rispecchiando le più tipiche caratteristiche del vitigno.
Molto interessante il “Basarin”, un Barbaresco prodotto con le uve provenienti dall’unico vigneto situato a Neive, dove il sole la fa da padrone baciando i vigneti situati ad un’altitudine di di 300 m.
Un vino da invecchiamento, con un tannino molto fine e vellutato ma ancora ben presente. I suoi profumi ricordano le spezie e la confettura e all’assaggio affascina con un’incredibile eleganza e una consistenza che lo fanno diventare un prodotto per nulla scontato.
Ho trovato una realtà che sta vivendo un momento di mutazione, una sorta di cambio generazionale guidato dalla giovane Michela che con il suo entusiasmo punta a condurre l’azienda nella direzione a mio avviso più corretta, ovvero quella di continuare a creare vini che sappiano rispecchiare e rispettare la tradizione migliore ma aggiungendo quel pizzico di cambiamento che li rende affascinanti, regalando bevute molto intriganti.
In alto i calici.
Paolo